Che cos'è Taiwan e cosa la rende unica? Stefano Pelaggi ha scritto un intero libro sull'argomento, intitolato L’isola sospesa. Taiwan e gli equilibri del mondo, edito da Luiss University Press e in uscita il 7 ottobre sia in formato cartaceo che in ebook.
Un capitolo particolarmente significativo è dedicato ai movimenti civili taiwanesi, comparsi per la prima volta nel 2008 in reazione al pericoloso avvicinamento del presidente Ma Ying-jeou (leader del partito Kuomintang) alla Repubblica Popolare Cinese. Tra il 2008 e il 2014 comparvero molti altri movimenti di base, dove i giovani taiwanesi facevano sentire la propria voce su temi come l'ambiente, la discriminazione di genere e l'interferenza della Cina negli affari dell'isola. Tutte queste esperienze di attivismo confluirono nel Movimento dei Girasoli del 2014, che non solo riuscì a occupare il parlamento taiwanese, ma cambiò per sempre la percezione della Cina e dell'identità taiwanese.
L’elezione di Ma al secondo mandato presidenziale e il sostanziale gradimento della popolazione taiwanese nei confronti della politica di un lento e graduale avvicinamento a Pechino erano dei chiari segnali per gli osservatori esterni: l’esperienza democratica di Taiwan sembrava destinata a diluirsi in un sistema prevalentemente monopartitico guidato dal Kuomintang, e l’interconnessione economica con la Cina e la contemporanea potente ascesa di Pechino nell’arena internazionale mostravano come
il percorso di avvicinamento tra i due lati dello Stretto fosse inevitabile. [...]
Le vittorie elettorali a livello regionale e comunale del Kuomintang tra il 2005 e il 2010 avevano generato una notevole fiducia all’interno del partito, portando il governo a ignorare proteste legate a eventi circoscritti. L’economia taiwanese era sempre più interconnessa con quella cinese e la dipendenza dal mercato della Repubblica popolare cinese predominante, però gli investimenti di aziende cinesi a Taiwan restavano proibiti. Il passo successivo, per i sostenitori di una distensione nello Stretto, era favorire una cooperazione economica sempre più intensa, mentre l’obiettivo di Pechino era quello di penetrare in maniera decisa nel sistema finanziario dell’isola.
Il Cross-Strait Service Trade Agreement (Cssta), cioè l’Accordo commerciale di servizio attraverso lo Stretto, è un negoziato firmato dalla Straits Exchange Foundation, da parte taiwanese, e dalla Association for Relations Across the Taiwan Straits, da parte cinese, il 21 giugno 2013 a Shanghai: l’accordo, negoziato dalle due parti a porte chiuse, avrebbe dovuto essere ratificato nelle settimane immediatamente successive dallo Yuan legislativo, in cui il Kuomintang godeva di una larga maggioranza, ma una ondata di polemiche sui media e nell’opinione pubblica ne rallentò l’approvazione. Accademici, giornalisti, organizzazioni non governative e gruppi di cittadini protestavano, ma la presenza nelle manifestazioni di piazza dei giorni immediatamente successivi alla firma del Cssta restò limitata a poche decine di persone. I leader dell’Anti-Media Monopoly Movement, che si erano opposti all’ingresso di capitali cinesi o filocinesi nei media taiwanesi, fondarono il Black Island Nation Youth Front (Biyf) mentre le associazioni non governative confluirono nel Democratic Front Against the Cross-Strait Trade in Services Agreement.
I due gruppi iniziarono una serie di iniziative congiunte per contrastare la ratifica dell’accordo, ma agendo da subito con modalità distinte. Il Black Island Nation, coordinato dai leader della protesta contro il gruppo Want Want China, Lin Fei-fan e Chen Wei-ting, si dedicò all’organizzazione delle manifestazioni di piazza, alla mobilitazione degli studenti e alle azioni più eclatanti, mentre il Democratic Front, guidato dall’avvocato e veterano dell’attivismo taiwanese Lai Chung-chiang, lavorò principalmente per garantire visibilità sui media, elaborare dettagliati piani economici per dimostrare l’inutilità dell’accordo commerciale e coinvolgere altri elementi della società civile nel movimento. Lo stesso Black Island Nation Youth Front entrò a far parte del Democratic Front – che arrivò a contenere 53 diverse associazioni – ma le modalità di azione rimasero perlopiù distinte.
In pochi mesi il movimento coinvolse sempre più persone, e la protesta prevista per il 18 marzo 2014, indetta dopo la decisione del governo di considerare conclusa la fase di revisione dell’accordo e di procedere alla votazione finale il 21 marzo, si trasformò in un evento che cambiò il destino di Taiwan e l’intero assetto della regione.
Nella mattinata del 18 marzo poco meno di un migliaio di manifestanti si riunirono di fronte al parlamento: intorno alle nove, un gruppo composto da poche decine di persone tentò di forzare l’ingresso principale del complesso, e mentre la polizia interveniva per bloccarne il tentativo altri due gruppi superarono i cancelli sul retro e riuscirono a raggiungere in pochi minuti la sala principale dello Yuan legislativo, ossia il parlamento unicamerale taiwanese. Le forze dell’ordine tentarono diverse volte di riprendere il controllo dell’edificio durante la mattina, ma gli occupanti riuscirono a resistere. In poche ore centinaia e poi migliaia di attivisti circondarono il parlamento, mentre le diverse anime di quello che verrà chiamato il Movimento dei Girasoli pianificavano ogni aspetto organizzativo: all’esterno dell’edificio vennero allestite strutture permanenti per gestire la comunicazione, l’assistenza sanitaria, il sostegno legale e la comunicazione con i media, e le donazioni di cibo e oggetti indispensabili ai manifestanti, come tende e sacchi a pelo. Furono creati dei loghi, e gli attivisti si mantenevano in costante contatto tra loro tramite chat dedicate su programmi di messaggistica, e all’esterno con aggiornamenti costanti sui social media. Gli attivisti con più esperienza si occuparono di stabilire una linea diretta con i mezzi di comunicazione nazionali e internazionali. Così, una manifestazione di poche centinaia di persone si trasformò nell’occupazione del luogo simbolo del potere a Taiwan. L’impressionante macchina organizzativa e la costante azione di comunicazione coinvolsero vaste fasce della popolazione taiwanese, accendendo i riflettori sui pericoli degli investimenti cinesi nell’isola. [...]
Il Sunflower Movement è stato il culmine di diversi movimenti e flussi di protesta che avevano attraversato il Paese nel decennio precedente: le anime del movimento erano molteplici, andavano dalle tematiche ambientaliste alle istanze anticapitalistiche, dalle questioni di genere alla salvaguardia delle minoranze, dalle derive indipendentistiche al timore di un eccessivo avvicinamento a Pechino. Le diverse prospettive all’interno del Sunflower Movement avevano trovato una sintesi di fronte al cosiddetto “Fattore Cina”:
la possibilità di un accordo che prevedeva investimenti cinesi a Taiwan costituiva un pericolo urgente per il futuro dell’isola. L’occupazione fu anche un catalizzatore di energie, fino ad allora le diverse anime che stavano diventando il Sunflower Movement non avevano trovato una strategia univoca, ma la difesa delle centinaia di studenti all’interno dello Yuan legislativo creò le condizioni per un’azione condivisa: il Sunflower Movement trovò una voce comune e pochi giorni dopo l’occupazione lanciò un ultimatum al governo. [...] Il governo intimò ai manifestanti di terminare l’occupazione
e proseguì l’iter per la ratifica del Cssta: come reazione, il 23 marzo un gruppetto di studenti, in contrasto con la leadership del Movimento, decise di occupare lo Yuan esecutivo, ossia il palazzo del governo taiwanese, ma durante la notte le forza dell’ordine li sgomberarono. Molti attivisti furono arrestati, e le immagini degli studenti sanguinanti trascinati via dalla polizia fecero il giro del mondo. La giovane democrazia
taiwanese era anche il prodotto di decenni di repressione, e le foto della violenta azione governativa impressionarono tutta la popolazione. Gli eventi del 23 marzo catalizzarono soprattutto l’attenzione dei giovani taiwanesi, e sempre più studenti si avvicinarono alla protesta.
Le anime del Sunflower Movement organizzarono una struttura decisionale in cui erano rappresentati i vari gruppi della protesta, la maggioranza all’interno degli organi fu data agli studenti alla luce della loro decisiva azione nell’occupazione e nella difesa dello Yuan legislativo. La struttura era organizzata in tre apparati, uno dedicato alle esigenze quotidiane – con un interesse particolare alla difesa dell’occupazione –, un altro focalizzato sulla strategia politica e la direzione del Movimento, 26 e un altro ideato per le questioni di emergenza, un comitato ristretto capace di prendere decisioni rapide. Una scelta voluta per evitare lo stallo che aveva determinato la scelta di occupare lo Yuan esecutivo da parte degli studenti. In questo modo le decisioni furono sempre prese all’unanimità, molti docenti universitari parteciparono attivamente alle discussioni riuscendo a mitigare le spinte estremistiche degli studenti. In mancanza di una linea di dialogo con il governo si rivelò essenziale la strategia mediatica attraverso cui il Sunflower Movement riuscì a comunicare in maniera costante le linee generali della protesta: ogni trasmissione televisiva ospitava regolarmente esponenti del Movimento che si dimostrarono preparati e capaci di generare un’impressione positiva nel pubblico. [...]
Il 30 marzo un’imponente manifestazione, più di 500mila partecipanti secondo gli organizzatori e 120mila nelle stime governative, occupò simbolicamente l’area intorno all’ufficio presidenziale per l’intera giornata.
La più grande manifestazione nell’isola degli ultimi decenni mostrò che il Sunflower Movement era un vasto movimento, profondamente radicato. Le immagini degli studenti vestiti di nero che portavano i girasoli in mano come simbolo di speranza colpì profondamente l’opinione pubblica.
Il presidente Ma Ying-jeou continuava a ignorare le richieste dei manifestanti e gli animatori della protesta iniziarono a temere il graduale esaurimento della spinta emotiva. I leader del movimento tentarono di sfruttare i numerosi problemi interni del Kuomintang, che i sondaggi davano in drastico calo di popolarità, e in particolare la rivalità tra il presidente Ma e il portavoce dello Yuan legislativo, Wang Jin-Pyng. Una mossa che si rivelò vincente, perché Wang offrì agli occupanti di avviare un percorso legislativo prima della ratifica dell’accordo commerciale con Pechino, una delle principali richieste del Movimento. Wang invitò il Sunflower Movement a lasciare lo Yuan per permettere la ripresa delle attività parlamentari. Il Kuomintang aveva sempre sottolineato la forzatura di una protesta in favore della democrazia che congelava le attività degli organi di rappresentanza. Le discussioni all’interno della leadership del Movimento dei Girasoli furono intense: da una parte c’era la chiara percezione di un’offerta difficile da rifiutare, e del sostanziale arresto della Cssta, mentre dall’altra
gli studenti temevano di veder vanificati i loro sforzi. Alla fine il timore di non poter sostenere l’occupazione per un periodo troppo esteso e i consigli dei professori e degli esponenti delle ong furono decisivi. Il 7 aprile gli occupanti comunicarono la decisione di lasciare lo Yuan legislativo, nei giorni successivi si dedicarono a ripulire l’edificio e il 10 aprile uscirono dal parlamento dopo 23 giorni di occupazione, lasciando l’edificio in perfette condizioni e soprattutto una pesante eredità per il futuro del Paese.
Il processo di verifica in parlamento per la Cssta non venne mai avviato, e Ma ufficialmente non rilasciò dichiarazioni sulla vicenda, né si scusò come richiesto dagli occupanti, ma l’iter per ratificare l’accordo commerciale con Pechino si bloccò definitivamente.
La percezione della Repubblica popolare cinese a Taiwan sarà irrimediabilmente diversa dopo il Sunflower Movement, la prospettiva di una ineluttabile, pacifica integrazione tra le due sponde dello Stretto venne profondamente modificata dai movimenti di base che avevano animato la protesta.
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