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Lorenzo Lamperti

Intervista a Audrey Tang, Digital Minister of Taiwan.

Aggiornamento: 7 feb

(Intervista di Lorenzo Lamperti) Dal movimento dei girasoli al governo, dallo sviluppo della democrazia digitale al recente intervento al summit per la democrazia di Joe Biden. Hacker, transgender e ministra del digitale: Audrey Tang è una figura chiave per capire che cos’è oggi Taiwan e che cosa rappresenta, o può rappresentare, sul palcoscenico internazionale. Il Manifesto l’ha incontrata nel suo ufficio presso lo Yuan esecutivo di Taipei.


Photo source: www.taiwannews.com. Ministra Audrey Tang, digitale e democrazia: come possono coesistere queste due parole? Si tratta di un’idea di democrazia non come di un’entità fissa o invariabile, ma piuttosto come di una tecnologia sociale che tutti possono contribuire a innovare. Ho registrato un video sul bubble tea dove lo spiego nel dettaglio. La cosa bella del digitale è che trascende i confini spazio-temporali, il che permette di avere coerentemente diverse innovazioni in atto nello stesso tempo. Se si parla di voto cartaceo, per esempio, il tempo di latenza è lungo: non si può pensare di fare votare la gente tramite voto cartaceo ogni giorno. Mentre ci vogliono pochi secondi per chiedere ai cittadini di partecipare al processo democratico online. Lei ha detto spesso che la democrazia migliora nel momento in cui più persone vi partecipano. Quanto è riuscita Taiwan a migliorare la partecipazione popolare al processo democratico? Ci siamo riusciti assicurandoci che gli obiettivi siano definiti anche dai cittadini, non solo dal governo. Troppo spesso la partecipazione online viene considerata in semplice maniera consultiva, nel senso che i ministeri hanno già definito un programma politico e richiedono solo un input da parte dell’opinione pubblica. Ma attraverso, per esempio, petizioni online e tentativi di voto partecipativo, i cittadini possono definire la loro agenda e i loro obiettivi, con temi che considerano importanti e di cui magari il governo non è al corrente. Per esempio, 8mila persone hanno firmato una petizione per cambiare la fascia oraria di Taiwan a +9, citando potenziali benefici economici. Ma l’interesse reale era quello di rendere Taiwan più speciale, costringendo chi viaggia da, per esempio, Pechino, a spostare le lancette dell’orologio all’arrivo. Ma la controparte ha invece sottolineato che il cambio d’ora avrebbe costituito una perdita economica. Abbiamo calcolato tutto e constatato che in effetti ci sarebbe stata una perdita economica ricorrente. Ma erano tutti d’accordo che far percepire Taiwan come più unica a livello internazionale fosse importante. Perciò abbiamo impiegato il nostro tempo per organizzare meeting collaborativi con entrambe le parti e alla fine abbiamo convenuto che forse avremmo potuto usare il budget che sarebbe stato necessario a cambiare la fascia oraria per promuovere il matrimonio egualitario e assicurarci che i nostri precedenti nella protezione dei diritti umani continuino a migliorare come hanno fatto negli ultimi 40 anni. Credo questo sia un buon esempio perché mostra che avere un governo aperto significa definire delle priorità fondate su valori comuni, non necessariamente sulle loro implementazioni. Qual è stato, e qual è, il ruolo del digitale e della tecnologia nella lotta al Covid-19 a Taiwan? La tecnologia ha un ruolo di assistenza e di supporto. Le cose più importanti restano indossare la mascherina, mantenere il distanziamento sociale e assicurarsi che il contact tracing funzioni in modo affidabile. Il digitale ha per esempio contribuito assicurando che i cittadini avessero accesso alle mascherine così da non causare il panico nelle prime fasi della pandemia. Nel 2021 abbiamo contribuito riducendo i tempi del contact tracing da 24 ore a meno di 24 minuti tramite il sistema 1922 SMS. Abbiamo ridotto drasticamente i tempi del raggiungimento dell’obiettivo di vaccinare i tre quarti della popolazione identificando le preferenze sui sieri dei cittadini e combinandole con i relativi rifornimenti in arrivo. Il contributo digitale serve a rendere le operazioni più veloci e più sicure. Quando le persone vedono che possono avere accesso a mascherine e vaccini in modo affidabile non vanno nel panico. E questo è tanto importante quanto gli stessi rifornimenti. In Italia si tende a pensare che dare più spazio alle tecnologie digitali nella lotta alla pandemia e utilizzarle per il contact tracing possa costituire dei rischi di violazione della privacy. Trova che sia così o è possibile avere sistemi che siano efficaci e attenti alla privacy?

È sicuramente possibile. Abbiamo sistemi che chiamiamo tecnologie di potenziamento della privacy. Ci sono tecnologie che sottraggono privacy, ma anche tecnologie che la tutelano o addirittura aumentano. Per esempio, a Taiwan quando si scannerizza il Qr code e si manda un messaggio per il contact tracing, l’operatore telefonico non è a conoscenza di cosa significhino quelle 15 cifre, perché sono conservate altrove. L’indicatore del Qr code non sa che locale si è frequentato e i proprietari dei locali non sanno nulla dell’utente perché non gli si consegna nessun tipo di dato. Tramite un sistema di archivio decentralizzato e multiparties nessuno dei partecipanti al processo è in possesso dei dati completi, né è in grado di ricostruire la posizione esatta dell’utente. Solo gli incaricati del contact tracing possono esserlo, in un lasso di tempo limitato. Dopo quattro settimane tutti i dati vengono eliminati. Ovviamente, se si preferiscono carta e penna e ci si fida del proprietario si può sempre compilare un modulo coi propri dati. Dunque non si tratta di un’operazione dall’alto che priva della libertà di scelta, al contrario il digitale aggiunge più scelta di potenziamento della privacy. Considera Taiwan in possesso della sovranità digitale dal punto di vista della trasmissione dati? In termini di trasmissione dati, siamo tradizionalmente stati piuttosto aperti nel senso che accettiamo il tipo di normativa che il settore privato ha da offrire o mette in gioco. Se si tratta di un operatore europeo dovrà seguire le regole del GDPR, se è americano dovrà seguire le norme di privacy transfrontaliere dell’APEC, che sono meno restrittive. Ma non diciamo a priori di preferire il GDPR al CBPR, quindi in questo momento c’è una situazione molto diversificata a Taiwan per quanto riguarda la trasmissione dati. Mi sembra che giganti come TSMC e Foxconn talvolta si comportino come attori diplomatici, come ad esempio nell’acquisto dei vaccini Pfizer da Fosun Pharma. Qual è la relazione tra lo stato e il settore privato a Taiwan? Il caso Pfizer è molto interessante perché sono stati coinvolti non solo attori economici ma anche Tzu Chi, un’organizzazione di beneficenza. La legittimità e il riconoscimento a livello nazionale di TSMC, Foxconn o Tzu Chi in alcuni casi può essere maggiore di quella dei nostri rappresentanti politici, soprattutto in giurisdizioni che non riconoscono formalmente Taiwan. Le grandi multinazionali, siano attori sociali o privati, portano con sé una grande influenza e un loro peso, che aggiunto a quello dei rappresentanti del governo di Taiwan creano uno status di negoziazione bilaterale che può avere maggiore efficacia nell’ottenimento di accordi vantaggiosi. In Cina si sta assistendo a una stretta su piattaforme digitali e colossi del tecnologico. Pensa che “crackdown” sia la parola giusta per descrivere quanto sta succedendo in Cina? Cosa c’è in gioco in questo fenomeno? Oggettivamente parlando, è una restrizione. Esistono diverse funzioni che sono a sola discrezione del governo statale, che non accetta un tipo di relazione simile a una co-gestione con quelle piattaforme tecnologiche. Vuole che tutti gli algoritmi e i codici digitali siano conformi a regole che fanno sì che debbano essere accettati dal governo centrale prima che i programmatori possano implementarli. È un modo di guardare ai gestori di internet da una prospettiva dello stato di diritto prettamente domestica, che è il motivo per cui a volte internet in Cina è considerato una sorta di intranet, perché manca di alcuni suoi valori intrinsechi e c’è una singola entità che non si mette al pari degli altri provider. La Repubblica Popolare sta trattando lo spazio digitale all’interno del Great Firewall come un intranet. Grande e sofisticato, ma pur sempre un intranet. Trovo che in gioco ci sia l’abilità di innovare, ma anche molto altro. Faccio l’esempio del dottor Li Wenliang, il cui messaggio è arrivato a Taiwan il 31 dicembre 2019, e che ha letteralmente salvato i taiwanesi perché già dal giorno dopo abbiamo cominciato a ispezionare i nostri aeroporti. Lo stesso messaggio non ha raggiunto la popolazione di Wuhan, ma solo la polizia che è stata incaricata di “armonizzarlo”. La libertà di espressione e la libertà di associazione hanno a che fare con la libertà di espressione su piattaforme che consentono uno spazio privato. Questo spazio non può essere illimitato, ma se tutto deve essere pre-approvato lo spazio per la libertà di espressione e associazione viene di molto ridotta. Quanto sono disposti Taiwan e le sue aziende private a partecipare a “catene di approvvigionamento democratiche” che lascino la Cina fuori da aree di interesse strategiche e particolarmente sensibili come quella del tecnologico? Nel 2014 avevamo già deciso che nella nostra infrastruttura 4G avremmo dovuto guardarci non da determinati brand o aziende ma da certe politiche. Non abbiamo bannato nessun marchio dalle infrastrutture 4G, ma eravamo già cauti nell’utilizzare brand provenienti da paesi governati da regimi autoritari. Perché anche se quei marchi riescono a superare le ispezioni di sicurezza la settimana successiva il loro timone di controllo potrebbe cambiare tramite operazioni condotte da forze non commerciali e i governi che potrebbero influenzarne la dirigenza. In questo caso avremmo bisogno di rivalutare il tutto e i costi sul lungo termine sarebbero più alti che costruire le nostre infrastrutture con altri partner di fiducia come Nokia. Penso che a Taiwan ci sia un consenso bipartisan che non si debbano ammettere componenti cinesi nelle nostre infrastrutture 4G e 5G. Pensa che ci sia bisogno di discutere ulteriormente il tema della catena di approvvigionamento di altre industrie come quella dei semiconduttori? Trovo che ogni settore debba svolgere una propria riflessione. Non penso ci sia un metodo universale di porre dei limiti o confini. E questi confini possono cambiare anche in base alla relazione tra governi autoritari e aziende private del settore di riferimento. I limiti alla libertà del settore privato si sono approfonditi negli ultimi sette anni, perciò è necessaria una costante revisione. Che ruolo potrebbe avere il metaverso nelle democrazia e diplomazia digitali? Penso che il vero spirito della “realtà condivisa” sia quello di permettere a tutti di trascendere i vincoli fisici e temporali e combinare realtà virtuali e fisiche per creare uno spazio adatto a ciascuno. Solo in questo modo possiamo sperimentare pienamente la sensazione di essere presenti insieme, e poi creare il futuro insieme per diventare un “Multiverso” autonomo e interconnesso. Trova che il riconoscimento internazionale e lo spazio per Taiwan stia crescendo o diminuendo? Il digitale può aiutare Taiwan a rafforzare le proprie relazioni internazionali? Ci sono due cose da dire. La prima è molto concreta: i funzionari di alto rango sono molto più abituati alle videoconferenze rispetto a due anni fa. In passato nel partecipare a una videoconferenza solitamente mi capitava di incontrare una controparte di rango inferiore e se volevo incontrare la mia effettiva controparte avevo bisogno di viaggiare di persona, cosa non sempre facile a causa di ostacoli burocratici e diplomatici. Adesso invece anche le mie controparti straniere sono disponibili a incontrarsi in videoconferenza. Dunque, da questo punto di vista, la libertà di movimento e associazione con le mie controparti si è di gran lunga ampliata, questo anche perché possono incontrarmi senza paura di ripercussioni. Da un punto di vista simbolico invece, penso che il contributo di Taiwan nella lotta alla pandemia e alla infodemia abbia mostrato che esiste veramente la possibilità per le democrazie di portare dei risultati concreti. Questo è fondamentale perché circola questa narrativa secondo la quale bisogna sacrificare la propria libertà di associazione e di parola per il bene comune, soprattutto in questi tempi particolari creati dalla pandemia. Ma Taiwan offre un’ottima alternativa a questa narrazione, perché non abbiamo rinunciato a nessuna libertà e abbiamo anche fatto di meglio nella gestione della pandemia. Il modello digitale di Taiwan può essere “esportato” o applicato altrove con buoni risultati? Chiunque si interessi della partecipazione tra pubblico e digitale può indicare Taiwan da esempio. Qui avevamo un’apatia assoluta nell’impegno politico, la fiducia nel governo era al di sotto del 10% nel 2014 e allora nessuno pensava che potesse esistere una intelligence collettiva. Ma in sette anni siamo diventati quello che viene definito un modello di partnership tra persone, settore pubblico e settore privato. Altri paesi che già godono di un qualche spazio civico possono investire in infrastrutture pubbliche e nel mondo digitale, ottenendo risultati importanti magari anche più velocemente di noi. Costruire queste infrastrutture aiuterà anche a vedere le cose con una prospettiva a lungo termine. La chiave per le soluzioni a lungo termine sta nelle risoluzioni efficaci dei conflitti posizionali nel breve termine. Intervista di Lorenzo Lamperti per "Il Manifesto"

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