Il 19 settembre 2020 AGI Cina ha intervistato il nostro esperto di Taiwan, Stefano Pelaggi, riguardo la crisi nello Stretto di Taiwan e sull'ipotesi di un intervento militare di Pechino.
Nel suo intervento (riportato qui) Pelaggi risponde alla domanda: è credibile la minaccia bellica cinese a Taiwan?
Risposta semplice: no.
Spiega infatti Pelaggi:
Si tratterebbe di un evento catastrofico e senza precedenti. Forze armate ben preparate, un apparato bellico di tutto rispetto, un paese di 23 milione di abitanti, la ventiduesima economia del mondo, si troverebbero ad affrontare un'invasione totale del proprio territorio. Qualcosa del genere non è mai avvenuto dalla II guerra mondiale.
Importante considerare come si tratterebbe di un'invasione senza nessuna "spinta interna", ossia non c'è un fronte pro Cina a Taiwan e nessuno vede dei vantaggi in rapporti con la RPC. Dopo Hong Kong la credibilità del 1 paese 2 sistemi - ideato ai tempi proprio per Taiwan - è nulla. Ma anche i vantaggi economici sono bassi, proprio la parabola di HK con l'arrivo di capitali cinesi, competizione interna, aumento prezzi immobili e corruzione ha mostrato a Taiwan come "il gioco non valga la candela".
Senza poi considerare l'alleato statunitense, l'isola è un avamposto strategico fondamentale per Washington e per i suoi alleati nella regione. L'idea che l'attore egemone abbandoni un elemento essenziale nel quadrante più importante del mondo non sta in piedi.
Ecco un estratto dell'articolo pubblicato su AGI CINA:
Il confronto assume contorni sempre più ideologici: Taiwan si presenta come baluardo della democrazia, che resiste all'autoritarismo della Repubblica popolare cinese, e si appella alle democrazie mondiali.
Sicuramente la dicotomia autoritarismo-democrazia funziona benissimo, è poi è una realtà, ha detto all’Agi Stefano Pelaggi, docente presso l’Università La Sapienza di Roma e research fellow presso il Taiwan Center for International Strategic Studies. Taiwan, prosegue, “è uno dei pochi casi in cui il sistema di rappresentanza è diventato parte dell’identità nazionale, cosa abbastanza inusuale. Andando più a fondo, il rapporto tra Taipei e Pechino prevede, però, anche un’interdipendenza economica, con un milione mezzo di taiwanesi che vivono permanentemente in Cina, e diverse aziende. [....]
L’ipotesi estrema del ricorso all’uso della forza, che trapela in articoli pubblicati dalla stampa più nazionalista di Pechino, troverebbe l’opposizione degli Stati Uniti. Il sostegno a favore di Taiwan non è mai stato così forte come in questi anni a Washington”, afferma Pelaggi.
“Bisogna tornare a prima degli anni Settanta per vedere un supporto così bipartisan, perché anche il Partito democratico non ha mai segnalato un’incrinatura in questi anni”. Senza contare che il processo di “taiwanizzazione” dell'isola è ormai in fase molto avanzata, e solo una piccola parte dei cittadini di Taiwan (“hard-liner” li definisce lo studioso della Sapienza), oggi si riconosce come cinese.
“L’allontanamento da Pechino è ormai segnato”, conclude Pelaggi. “Questa dimensione ha creato condizioni che rendono praticamente impossibile il processo che Pechino pensava. Avrebbero dovuto farlo dieci anni fa, ma la Cina di dieci anni fa non poteva permettersi di farlo: è stato perso il treno, e anche a Pechino sanno che non c’è modo di portarlo indietro.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
Relazioni istituzionali Stefano.pelaggi@uniroma1.it – @StefanoPelaggi
Docente di “Nazionalismi e minoranze nazionali in Europa” e in “Development and processes of colonization and decolonization” a Sapienza Università di Roma, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in “Storia dell’Europa” presso Sapienza Università di Roma. Vice direttore del quotidiano L’Italiano, si occupa di di Storia e relazioni internazionali, principalmente nell’area dell’Asia-Pacifico Autore di numerosi saggi ed articoli su tematiche storiche e di relazioni internazionali. Collabora con il Centro di Ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Subsahariana” e svolge attività di ricerca e docenza presso varie università tra cui Libera università di lingue e comunicazione IULM di Milano e Università degli Studi Niccolò Cusano di Roma.
Commentaires